Avere interesse per qualcosa e interessarsene, averne cura, sono due questioni diverse: la differenza tra l’una e l’altra è misurata dalla consapevolezza dell’importanza della questione per sé.
Purtroppo non pare esserci alcuna consapevolezza dell’importanza della sicurezza sul lavoro.
Non ne sono consapevoli gli imprenditori, altrimenti non spingerebbero i lavoratori a fare prima a rischio dell’incolumità (vedi Brandizzo), non toglierebbero i presidi di sicurezza dai macchinari per ridurre i tempi di lavorazione (ricordate Luana D’Orazio?) e cosi via.
Non ne sembrano consapevoli i lavoratori, che sanno di dover mettere imbragatura e casco mentre stanno sui ponteggi, ma spesso non li mettono, sanno che è obbligatorio essere autorizzati prima di salire sui binari per la manutenzione, ma pur di lavorare accettano di cominciare il lavoro prima che arrivi l’autorizzazione.
Non interessa agli uffici deputati alle ispezioni: se non sono destinati ispettori per i controlli non è certo colpa loro: si controlla ciò che si può, consapevoli che l’incidente può succedere ovunque ed in ogni momento, ma la responsabilità non può ascriversi ad un ufficio svuotato di risorse e senza mezzi.
Non interessa al politico, disposto ad approvare una legge da rivendicare in TV, ma indisponibile a perdere i voti delle imprese incrementando realmente i controlli per fare applicare le leggi. Né vuol perdere i voti dei lavoratori lasciati a casa da un’azienda che chiude, non accettando la riduzione dei margini di profitto.
Questo disinteresse per la sicurezza è solo in parte una scommessa sulla propria fortuna; è più uno dei sintomi del diffuso schiacciamento sul presente: qlla domanda “e se domani..?” “Spesso si risponde “ci penserò domani”.
Ma allora la battaglia per la sicurezza va combattuta in sede formativa. Non solo durante l’addestramento sul lavoro, o nella formazione continua. Deve iniziarsi a scuola. Da bambini.
Anche perché la cultura della sicurezza non riguarda solo la sicurezza sul lavoro, ma anche la sicurezza stradale, la sicurezza dei consumatori e questo sforzo va fatto dallo Stato, perché la società di oggi vive di effimero. Altro che sicurezza!
Se ci sarà consapevolezza , dell’importanza della sicurezza, allora cambierà tutto l’approccio.
Ma serve una forza politica che si faccia carico di questo bisogno di consapevolezza, perché, come si diceva sopra, al momento pare che in giro non interessi a nessuno. Al di là dell’ipocrisia delle dichiarazioni.
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Al 31 Dicembre 2020 sono state segnalate all’INAIL 554.340 denunce d’infortunio, di cui 1270 con esito mortale
Nei primi tre mesi di quest’anno le denunce di incidenti mortali sono state 185, 19 in più rispetto alle 166 denunce registrate nel primo trimestre del 2020. Un incremento maggiore dell’11,4%.
Con questi numeri non possiamo parlare di disgrazia, di casualità. Semplicemente si è affermato un inconfessato modo di vedere. Una cultura che considera accettabile per il nostro sistema produttivo che ogni tanto qualcuno ci lasci la pelle.
La CGIL ha presentato un progetto di legge di iniziativa popolare: “Carta dei Diritti Universali del Lavoro ovvero nuovo Statuto delle Lavoratrici e dei Lavoratori” e anche la politica non è stata immobile: ha prodotto importanti leggi sulla sicurezza sul lavoro. Intanto si continua a morire. Meno durante le fasi peggiori della pandemia, ma adesso, con la ripresa di più intensi ritmi di produzione, gli incidenti sono tornati ad aumentare. Cosa si può fare?
Di certo aumentare i controlli. Sono insufficienti da tanto. Migliaia di ispettori sono andati in pensione negli anni e non sono stati sostituiti. Durante gli anni il sistema pubblico dei controlli è stato depauperato da una politica più attenta alla spesa pubblica che ai servizi pubblici. Oltretutto la funzione pubblica di controllo delle attività produttive non è particolarmente apprezzata dal mondo delle imprese, ancor di più perché, insufficiente per carenza di mezzi e quindi ineguale, non riesce certo a controllare tutto e tutti.
D’altronde il rispetto delle leggi non può essere affidato solo ai controlli d’ufficio. Serve una cultura diffusa della sicurezza presso imprese e lavoratori e ai lavoratori serve la garanzia che la denuncia, ma già una richiesta di rispetto del diritto alla sicurezza, non comporti il licenziamento o la mancata chiamata.
Ma il lavoro oggi è quasi tutto precario (quando non più o meno in nero) e qui diventa complicato: come fa un lavoratore che deve “ringraziare per la possibilità di lavorare” a chiedere che un macchinario abbia tutte le protezioni previste dalla legge?
La difesa di alcuni datori di lavoro nelle microimprese, quando dicono che loro lavorano nelle stesse condizioni dei propri dipendenti è debole, inconsistente. Loro possono scegliere. I dipendenti?
I controlli sono quindi necessari, ma allo stato insufficienti. Lo ha riconosciuto il presidente del consiglio Mario Draghi che si è impegnato ad assumere 1084 nuovi ispettori del lavoro. Sempre troppo pochi in rapporto a quelli andati in pensione negli anni scorsi, ma già un primo passo. Basta?
Probabilmente no. Rimane indispensabile il rispetto per le persone che lavorano, per gli altri e per sé stessi. È necessario creare – oramai quasi dal nulla – una cultura dei diritti delle persone sul lavoro, una cultura del rispetto delle persone e dei loro corpi, perché a ben vedere il problema serio è che il culto dei beni, della ricchezza e degli utili delle imprese, ha superato (e pure di tanto) il culto della persona. Come si spiegherebbe altrimenti la mancanza di attenzione non solo per chi lavora, ma anche per chi consuma. Su questo versante, citiamo solo le polemiche sulla leggibilità delle etichette dei prodotti di largo consumo.
Ma se conveniamo sulla necessità di una spinta forte della cultura diffusa del rispetto delle persone e quindi della sicurezza e della qualità del lavoro e dei prodotti. Chi dovrebbe farsene promotore? Quali agenzie dovrebbero produrre questo cambiamento?
Dovrebbe farsene promotrice la Repubblica e quali agenzie più efficaci della scuola e della televisione? La scuola si è già caricata della diffusione della educazione civica, che da poco ha ricevuto una spinta importante. La televisione è potente, potentissima presso tutti i segmenti sociali a culturali.
Percorsi possibili ce ne sono. Se ne possono immaginare altri.
C’è La volontà?