Avere interesse per qualcosa e interessarsene, averne cura, sono due questioni diverse: la differenza tra l’una e l’altra è misurata dalla consapevolezza dell’importanza della questione per sé.
Purtroppo non pare esserci alcuna consapevolezza dell’importanza della sicurezza sul lavoro.
Non ne sono consapevoli gli imprenditori, altrimenti non spingerebbero i lavoratori a fare prima a rischio dell’incolumità (vedi Brandizzo), non toglierebbero i presidi di sicurezza dai macchinari per ridurre i tempi di lavorazione (ricordate Luana D’Orazio?) e cosi via.
Non ne sembrano consapevoli i lavoratori, che sanno di dover mettere imbragatura e casco mentre stanno sui ponteggi, ma spesso non li mettono, sanno che è obbligatorio essere autorizzati prima di salire sui binari per la manutenzione, ma pur di lavorare accettano di cominciare il lavoro prima che arrivi l’autorizzazione.
Non interessa agli uffici deputati alle ispezioni: se non sono destinati ispettori per i controlli non è certo colpa loro: si controlla ciò che si può, consapevoli che l’incidente può succedere ovunque ed in ogni momento, ma la responsabilità non può ascriversi ad un ufficio svuotato di risorse e senza mezzi.
Non interessa al politico, disposto ad approvare una legge da rivendicare in TV, ma indisponibile a perdere i voti delle imprese incrementando realmente i controlli per fare applicare le leggi. Né vuol perdere i voti dei lavoratori lasciati a casa da un’azienda che chiude, non accettando la riduzione dei margini di profitto.
Questo disinteresse per la sicurezza è solo in parte una scommessa sulla propria fortuna; è più uno dei sintomi del diffuso schiacciamento sul presente: qlla domanda “e se domani..?” “Spesso si risponde “ci penserò domani”.
Ma allora la battaglia per la sicurezza va combattuta in sede formativa. Non solo durante l’addestramento sul lavoro, o nella formazione continua. Deve iniziarsi a scuola. Da bambini.
Anche perché la cultura della sicurezza non riguarda solo la sicurezza sul lavoro, ma anche la sicurezza stradale, la sicurezza dei consumatori e questo sforzo va fatto dallo Stato, perché la società di oggi vive di effimero. Altro che sicurezza!
Se ci sarà consapevolezza , dell’importanza della sicurezza, allora cambierà tutto l’approccio.
Ma serve una forza politica che si faccia carico di questo bisogno di consapevolezza, perché, come si diceva sopra, al momento pare che in giro non interessi a nessuno. Al di là dell’ipocrisia delle dichiarazioni.
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La Democrazia, il governo del Popolo, funziona bene tra uguali. Una società è danneggiata dalla presenza di persone troppo povere come dalla presenza di persone troppo ricche, perché nell’esprimere la propria volontà, i propri voti, chi è troppo povero è ricattabile e chi è troppo ricco ha la concreta possibilità di cambiare le regole (durante la partita) quando e come vuole.
L’obiettivo centrale è curare la società dagli eccessi, dalla miseria e dalla opulenza, anche perchè storicamente l‘equilibrio è il presupposto delle società più sviluppate, più armoniche, più felici.
Ma l’uguaglianza non può essere né totale né imposta dall’alto: le persone non sono tutte uguali, anzi sono tutte diverse l’una dall’altra: differenze di tutti i generi, gusti, desideri, sensibilità. C’è chi vuole disporre di più cose – e per questo è disposto a un maggiore impegno – e chi preferisce più tempo libero. Ci sta. C’è anche chi parla di merito, ma questo termine ha senso solo a parità di condizioni e nell’ambito di processi semplici, senza condizionamenti esterni, condizioni che nelle complesse realtà sociali non si verificano mai.
È giusto che chi vuole impegnarsi di più sia libero di farlo e di raccogliere il frutto del proprio lavoro. Però la libertà di fare di più, se non è regolata, spinge naturalmente verso l’inasprimento delle disuguaglianze: chi ha ottenuto un vantaggio tende a stabilizzare i risultati ottenuti, magari per trasferire questi risultati ad altri, i figli per esempio, che così possono avvantaggiarsi anche senza sforzi propri.
Qui deve intervenire la spinta riequilibratrice dello Stato, per evitare che la ricchezza diventi un vantaggio incolmabile. Per questo la Costituzione dice che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Tutti hanno diritto a scuole pubbliche e ad università gratuite e funzionanti, perché tutti hanno il diritto di concorrere alla pari ai ruoli sociali di maggiore responsabilità e prestigio.
Tutti hanno diritto al lavoro – pagato tanto da poterci vivere dignitosamente – per avere un ruolo attivo al funzionamento della società.
Tutti hanno diritto a cure mediche gratuite tempestive e di buona qualità, per essere liberi dal timore che una malattia non possa essere curata o li porti alla rovina propria e delle proprie famiglie.
Sappiamo che il progetto della Costituzione non si è mai realizzato appieno per la resistenza di settori politici e sociali conservatori, ma tale obiettivo rimane il nostro per questo XXI secolo, anzi oggi è più urgente ed è anche più raggiungibile per effetto delle enormi innovazioni tecniche avvenute.
Alcune riforme sono diventate urgenti, per evitare che l’acuirsi delle sofferenze sociali porti ad una situazione irriformabile. Il fatto che non ci siano alternative risulta naturalmente inaccettabile per chi nell’attuale stato di cose sopravvive a malapena.
Ma per realizzare qualsiasi riforma bisogna ricostruire la macchina della Repubblica: Stato Regione ed Enti locali. E’ attraverso queste strutture che si possono mettere in atto i cambiamenti necessari. Serve un settore pubblico che funzioni veramente, dalla Sanità alla Scuola, all’Assistenza sociale, alla manutenzione del Territorio, alle funzioni di controllo. Oggi non è così. Le amministrazioni pubbliche da più di 30 anni sono state messe nelle condizioni di non funzionare, disattivate: il blocco del turn over ha ridotto e fatto invecchiare il personale e questo stesso personale spesso non ha fruito di aggiornamenti e formazione. La peggiore politica clientelare ha fatto di tutto per infiltrarlo e condizionarne impropriamente l’attività.
Le pubbliche amministrazioni devono tornare nelle condizioni di funzionare, essere messe in grado di utilizzare al meglio le tecnologie dell’informazione e per questo servono funzionari pubblici giovani e preparati, selezionati con concorsi pubblici e destinati a rimanere impiegati stabilmente, al fine di disporre di organizzazioni efficaci al giusto costo.
Certo la riattivazione della macchina pubblica ha un costo non indifferente.
Che fare? Bisogna invertire la rotta: ad oggi Stato ed enti pubblici non riscuotono il necessario per funzionare e in più spendono troppo per acquistare beni e servizi, spesso di cattiva qualità. Il dissesto della macchina pubblica non era inevitabile e non è stato casuale. Neutralizzare gli uffici pubblici é stato funzionale alla riduzione di tutti i controlli: sulla riscossione dei tributi, sul rispetto degli spazi e dei beni comuni, sull’ambiente.
Per finire, la neutralizzazione degli Uffici pubblici è servita per offrire all’economia privata proficue occasioni di guadagno, sostituendosi al Pubblico: dalla Sanità alla Scuola, dalle Università alla distribuzione dell’acqua alla mediazione tra domanda e offerta di lavoro, financo alla vigilanza del territorio. Inoltre la politica usa gli uffici pubblici per coltivare il consenso, ponendosi come rimedio “ad personam” per superare le lungaggini burocratiche create dalla stessa politica con norme ambigue, quando non contraddittorie.
La riappropriazione di spazi di attività da parte del settore pubblico non significa negazione dell’iniziativa privata. Questa, se operata nel rispetto dei diritti dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente è un elemento prezioso di pluralismo e di autonomia individuale. e come tale può svolgere un’importante funzione nell’innovazione dei prodotti e dei processi. Essa non deve essere caricata di costi di assistenza, che devono essere pubblici perché universali e non deve essere assistita da fondi pubblici sotto forma di contributi a fondo perduto, di agevolazioni incondizionate e di altri supporti che gravanti sulla spesa pubblica.
Inoltre l’iniziativa privata sarebbe avvantaggiata da una macchina pubblica efficace, da controlli veloci, capaci di bloccare le forme di concorrenza sleale e da una veloce e precisa amministrazione delle controversie.
Seguiteci. vi proporremo le nostre priorità.
Noi che viviamo del nostro lavoro Siamo sotto attacco da anni, da parte delle classi dirigenti: manager, grandi imprese ed intellettuali al seguito:
- hanno reso precario il lavoro: ci pagano meno e hanno cancellato la maggior parte dei diritti;
- hanno ridotto le pensioni e cominciano a pagarcele molto dopo;
- hanno ridotto quantità e qualità dei lavori pubblici: crollano ponti e viadotti, le strade non sono manutenute, gli argini dei torrenti non sono controllati;
- hanno ridotto quantità e qualità dei servizi sanitari: i medici di base hanno troppi assistiti e si trasformano sempre di più in impiegati amministrativi; hanno chiuso molti ospedali pubblici ed hanno esternalizzato molti servizi di diagnosi e di terapia; i posti di pronto soccorso sono sottodimensionati;
- hanno ridotto quantità e qualità dei servizi scolastici: classi troppo numerose, troppo pochi insegnanti troppi dei quali precari ed hanno trasformato le scuole pubbliche in aziende, e le ospitano in locali fatiscenti e inadeguati;
- non fanno funzionare gli uffici pubblici: gli impiegati vanno in pensione e non vengono sostituiti da giovani, in più i nuovi assunti non vengono né selezionati né formati; così i controlli non si possono fare e quando fatti sono fatti in modo sbilanciato e iniquo;
- le università pubbliche sono impoverite e lasciate nelle mani di baroni che gestiscono l’ingresso dei giovani; moltissimi dei nostri migliori giovani ricercatori vanno all’estero;
- aumentano le sovvenzioni per le imprese e poi tante di queste spostano gli impianti all’estero e chiudono gli stabilimenti, licenziando il personale;
- aumentano la spesa militare e mandano armi in teatri di guerra, senza lavorare per la pace;
- mantengono imposte e tasse ingiuste sui lavoratori e sui piccoli negozianti e riducono le imposte sui più ricchi e sulle grandi imprese;
- ignorano le ingiustizie nel mondo in Palestina, Iran, Turchia, e ignorano gli attacchi alla libertà come a Cuba e in Venezuela. L’unico criterio di valutazione è la volontà degli USA, o in subordine, la volontà delle burocrazie Europee espressione delle cultura dell’arbitrio dei mercati.
Come si vede è difficile rispondere a tutti gli attacchi: ci sono arrivati da tutte le parti e su mille punti diversi.
Dobbiamo cambiare schema: ottenere una società armoniosa in cui tutti abbiano pari opportunità e in cui nessuno sia abbandonato alla miseria.
Per farlo c’è bisogno – adesso- di un’organizzazione che ci rappresenti e che funzioni. Non abbiamo bisogno di uomini o donne della provvidenza, abbiamo bisogno di coordinarci e di farci avanti tutte e tutti, mettendo da parte le differenze di metodo, per trovare modi di lotta che ci mettano d’accordo e focalizzando la nostra attenzione sulle priorità.
Non lasciamo che continuino a spogliarci di tutto.
La vera ricchezza dei popoli sono le persone.
È anche un fatto di numero (una popolazione che si va riducendo e va invecchiando è un problema enorme), ma pur importante il numero è marginale.
È la cultura che trasforma una persona in una forza capace di cambiare le cose, con le idee, la fantasia e la capacità di aggregare altre persone sul lavoro per il raggiungimento di un obbiettivo comune. Ciò perché la cultura è il prodotto delle relazioni con gli altri e con l’ambiente.
Ma perché questa forza sia realmente potente, deve essere innescata: la persona deve diventare pienamente “animale sociale”, cittadino.
Per questo la #scuola è così importante per un Paese. Una scuola capace di formare persone capaci di relazionarsi col contesto in cui si muovono; contesto che oggi è estremamente fluido e cangiante e per questo richiede robustezza interiore e capacità di adattamento. Ma la scuola deve coltivare anche la disposizione a relazionarsi con gli altri, aiutando a generare interesse e #rispetto per le persone con cui si viene a contatto, coi loro punti forti ed i loro bisogni.
Dalla scuola e dalla sua naturale prosecuzione nelle attività culturali devono nascere le basi su cui costruire la crescita civile e umana delle persone e collettivamente la capacità di un Popolo di esprimere rappresentazioni del mondo capaci, di generare forme di #simbiosi armoniche con l’altro da sé a cominciare dall’ambiente.
Una società che dà modo a ciascuno di esprimere ogni potenzialità e per questo una società siffatta è capace di innovare, di evolversi e di resistere alle avversità.
Anche per questo la scuola dev’essere molto, molto di più di una agenzia di preparazione al lavoro: dev’essere una fucina di persone serene, capaci di comprendere il modo e gli altri, capaci di risolvere problemi.
Vi sarete accorti che nella nostra società ci sono cose che non vanno bene.
In tanti si sono esercitati ad elencarle, per convincere chi ascolta di avere capito i suoi bisogni.
Sulle soluzioni invece si tende a glissare, perchè necessariamente le proposte accontentano alcuni e scontentano altri.
Il risultato sono personalità e gruppi politici che criticano gli altri e sorvolano o mentono sui propri insuccessi.
La questione è pesante e difficile da risolvere, perchè i cambiamenti da fare sono imponenti: la Repubblica italiana (Stato+Regioni+enti locali) preleva in imposte e tasse molto di più di quanto restituisca in servizi al cittadino. Questo perchè una parte consistente di imposte e tasse vanno a restituire quote di debito contratto coi privati e a pagare interessi a tassi di mercato.
In più per pagare quelle imposte non viene chiesto a tutti lo stesso #sacrificio:
lavoratori dipendenti e pensionati pagano tutto. Imprenditori e liberi professionisti in parte: i lavoratori a partita iva pagano tutto; i piccoli professionisti e le microimprese si fanno uno sconto più o meno consistente; i grandi studi professionali e le imprese medie e grandi, che possono fruire di competenze piu importanti per ridurre le imposte, pagano poco. e si lamentano più di tutti.
Per finire la rassegna, la spesa pubblica segue una ripartizione altrettanto iniqua: il welfare pubblico viene amministrato col contagocce. Scuola e sanità pubbliche, pensioni e servizi ai meno abbienti sono sottoposti a tagli continui di fondi e peggioramenti qualitativi e quantitativi dei servizi. Classi scolastiche di trenta e piu alunni, Ticket per i farmaci, tempi biblici per gli esami diagnostici, riduzione di posti letto, pensioni piu basse, ottenute sempre piu tardi
Invece la spesa pubblica per le imprese – specialmente quelle grandi – è considerata spesa virtuosa e produttiva , perchè le imprese danno lavoro e quindi agevolazioni, sovvenzioni, concessioni e contratti pubblici convenienti (per le imprese).
Il tutto mentre negli uffici pubblici marchiati come covi di #fannulloni, non vengono assunti giovani (o se vengono assunti, sono #precari e ricattabili e gli anziani non vengono fatti aggiornare e studiare. Pare che la politica faccia il possibile perchè gli uffici pubblici non funzionino bene. Cosicché quando i funzionari hanno rapporti coi privati pendano dalle labbra del consulente o del fornitore.
In conclusione, viviamo in una società sbilanciata e diseguale, che si muove per diventare ancora piu sbilanciata ed ancora più diseguale, però a dirlo si passa per estremisti o populisti.
Queste cose vanno spiegate ai cittadini. Solo quando gli elettori capiremo che nessuno può salvarci se non cominciamo ad interessarci noi stessi di politica, solo allora potremo capire che bisogna cambiare proprio tanto e che c’è veramente tanta gente che non vuole proprio che le cose cambino.
Al 31 Dicembre 2020 sono state segnalate all’INAIL 554.340 denunce d’infortunio, di cui 1270 con esito mortale
Nei primi tre mesi di quest’anno le denunce di incidenti mortali sono state 185, 19 in più rispetto alle 166 denunce registrate nel primo trimestre del 2020. Un incremento maggiore dell’11,4%.
Con questi numeri non possiamo parlare di disgrazia, di casualità. Semplicemente si è affermato un inconfessato modo di vedere. Una cultura che considera accettabile per il nostro sistema produttivo che ogni tanto qualcuno ci lasci la pelle.
La CGIL ha presentato un progetto di legge di iniziativa popolare: “Carta dei Diritti Universali del Lavoro ovvero nuovo Statuto delle Lavoratrici e dei Lavoratori” e anche la politica non è stata immobile: ha prodotto importanti leggi sulla sicurezza sul lavoro. Intanto si continua a morire. Meno durante le fasi peggiori della pandemia, ma adesso, con la ripresa di più intensi ritmi di produzione, gli incidenti sono tornati ad aumentare. Cosa si può fare?
Di certo aumentare i controlli. Sono insufficienti da tanto. Migliaia di ispettori sono andati in pensione negli anni e non sono stati sostituiti. Durante gli anni il sistema pubblico dei controlli è stato depauperato da una politica più attenta alla spesa pubblica che ai servizi pubblici. Oltretutto la funzione pubblica di controllo delle attività produttive non è particolarmente apprezzata dal mondo delle imprese, ancor di più perché, insufficiente per carenza di mezzi e quindi ineguale, non riesce certo a controllare tutto e tutti.
D’altronde il rispetto delle leggi non può essere affidato solo ai controlli d’ufficio. Serve una cultura diffusa della sicurezza presso imprese e lavoratori e ai lavoratori serve la garanzia che la denuncia, ma già una richiesta di rispetto del diritto alla sicurezza, non comporti il licenziamento o la mancata chiamata.
Ma il lavoro oggi è quasi tutto precario (quando non più o meno in nero) e qui diventa complicato: come fa un lavoratore che deve “ringraziare per la possibilità di lavorare” a chiedere che un macchinario abbia tutte le protezioni previste dalla legge?
La difesa di alcuni datori di lavoro nelle microimprese, quando dicono che loro lavorano nelle stesse condizioni dei propri dipendenti è debole, inconsistente. Loro possono scegliere. I dipendenti?
I controlli sono quindi necessari, ma allo stato insufficienti. Lo ha riconosciuto il presidente del consiglio Mario Draghi che si è impegnato ad assumere 1084 nuovi ispettori del lavoro. Sempre troppo pochi in rapporto a quelli andati in pensione negli anni scorsi, ma già un primo passo. Basta?
Probabilmente no. Rimane indispensabile il rispetto per le persone che lavorano, per gli altri e per sé stessi. È necessario creare – oramai quasi dal nulla – una cultura dei diritti delle persone sul lavoro, una cultura del rispetto delle persone e dei loro corpi, perché a ben vedere il problema serio è che il culto dei beni, della ricchezza e degli utili delle imprese, ha superato (e pure di tanto) il culto della persona. Come si spiegherebbe altrimenti la mancanza di attenzione non solo per chi lavora, ma anche per chi consuma. Su questo versante, citiamo solo le polemiche sulla leggibilità delle etichette dei prodotti di largo consumo.
Ma se conveniamo sulla necessità di una spinta forte della cultura diffusa del rispetto delle persone e quindi della sicurezza e della qualità del lavoro e dei prodotti. Chi dovrebbe farsene promotore? Quali agenzie dovrebbero produrre questo cambiamento?
Dovrebbe farsene promotrice la Repubblica e quali agenzie più efficaci della scuola e della televisione? La scuola si è già caricata della diffusione della educazione civica, che da poco ha ricevuto una spinta importante. La televisione è potente, potentissima presso tutti i segmenti sociali a culturali.
Percorsi possibili ce ne sono. Se ne possono immaginare altri.
C’è La volontà?