“L’anarchia non è violenza, la rigettiamo, ma non vogliamo neanche subirla, anarchia è ragionamento e responsabilità”.
Questa l’ultima lettera che scrisse mio padre, Giuseppe Pinelli, il 12 dicembre 1969 a Paolo Faccioli, uno degli anarchici in carcere con l’accusa (che poi si rivelerà falsa come tutte le accuse rivolte agli anarchici sugli attentati di quell’anno ) di essere tra i responsabili degli attentati alla Fiera Campionaria del 25 aprile 1969.
La scrisse al circolo anarchico di via Scaldasole prima di raggiungere il circolo anarchico Ponte della Ghisolfa dove, presenti le volanti della polizia, verrà invitato dal commissario Calabresi a seguire la volante in questura per “accertamenti”.
“Accertamenti”che diventeranno fermo e poi fermo illegale protraendosi, senza autorizzazione del magistrato, fino alla notte del 15 dicembre quando mio padre ne uscirà si, ma dalla finestra del 4° piano dall’ufficio del commissario Calabresi alla fine dell’ennesimo interrogatorio, privato di sonno e cibo, schiantandosi nel cortile.
Il dopo lo si conosce…istruttorie rapide e archiviazioni (prima come suicidio, poi come morte accidentale -memorabile il lavoro scritto a due mani dalla coppia Dario Fo e Franca Rame “Morte accidentale di un Anarchico” – e l’ultima, del 1975, a firma del giudice Gerardo D’Ambrosio, come “malore con conseguente alterazione del centro di equilibrio che lo sospinse violentemente fuori dalla finestra “ , escludendo quindi sia il suicidio che l’omicidio e assolvendo tutti gli imputati).
In quelle poche righe Pino racconta se stesso, la scelta dell’anarchia giovanissimo e la sua partecipazione alla lotta partigiana, impegno che con la caduta del fascismo e la “liberazione” lo vede sempre in prima linea, la scuola di esperanto, l’avvicinamento ai movimenti e gruppi che si ispiravano alla non violenza come strumento di azione e all’obiezione di coscienza come stile di vita, impegno sociale quotidiano.
Credeva nell’uomo e si batteva contro l’individualismo delle “coscienze addomesticate”.
Ai giovani che si avventuravano nei circoli anarchici che nel corso degli anni aveva contribuito ad aprire dava consigli di lettura, con loro parlava del suo lavoro, dell’impegno quotidiano, … tanti di quei ex “ragazzi” lo descriveranno come il più giovane tra i vecchi anarchici e il più vecchio tra i giovani e di come sia stato importante il suo “esempio”.
Impegnato nel sindacato e in tutte le lotte che infiammavano quegli anni di grandi speranze per grandi cambiamenti……e poi la sua uccisione.
E una società civile che si muove, si indigna, pretende di conoscere la verità e Licia, la sua compagna, si trova improvvisamente catapultata, con due figlie piccole, in un mondo diverso da quello in cui credeva.
Lei , comunista, convinta che la democrazia avrebbe dato risposte per la morte di suo marito , che lo Stato fosse al servizio del cittadino.
“Stato di Diritto” che a mano a mano le si sgretola sotto gli occhi e un muro di gomma si alza di fronte alla sua ricerca di accertare le responsabilità sulla morte di Pino.
Si avrà verità, una verità storica in mancanza di una verità giudiziaria, perchè lo Stato mai condannerà se stesso.
Dopo 40 anni da quella notte, il 9 maggio 2009, l’invito al Quirinale di Licia e noi figlie da parte della più alta carica dello Stato , dove di fronte alle televisioni di tutto il mondo il Presidente della Repubblica annovera mio padre come 18a vittima innocente della Strage di Piazza Fontana, anzi vittima due volte (prima di pesantissimi e infondati sospetti e poi di una assurda fine) .
Nel 2019, dopo 50 anni, il Comune di Milano nella persona del Sindaco e in presenza del Prefetto ha voluto rendergli omaggio nel quartiere in cui abitò con un albero e un cippo a lui dedicato in Piazzale Segesta.
Il 14 dicembre 2019 a Milano si è svolta una Catena Umana Musicale voluta da noi famigliari e da un gruppo di musicisti coraggiosi per non dimenticare Pino Pinelli a 50 anni dal suo assassinio. 15.000 le persone presenti che si sono strette in un grande abbraccio a quel ferroviere anarchico che sognava un mondo “senza confini”.
Mio padre è seppellito nel cimitero di Carrara, nella zona riservata agli anarchici che hanno fatto la resistenza, che hanno partecipato alla guerra di Spagna, che hanno subito il confino , luogo caro a Pino,
Altre lapidi in sua memoria si trovano in Piazza Fontana e in via Preneste a Milano (dove abitavamo) per ricordare “Giuseppe Pinelli, innocente, ucciso nei locali della questura di Milano il 15 dicembre 1969”.
Pino ha lasciato una grande eredità non solo a noi figlie, un patrimonio di impegno sociale e di memoria che con quello “schianto” si sarebbe voluto cancellare , quel “noi” che è più importante dell’ “io”!
“Era il mio corpo quello che è caduto
ma continuo a cantare per voi
non potete fermarmi
le mie labbra ancora vibrano….” Jiulian Beck Il corpo di Pinelli 1977
Silvia Pinelli – Luglio 2020