La democrazia è la ritualizzazione dei conflitti sociali: le parti, portatrici di interessi contrapposti, rinunciano al confronto fisico e concordano di adottare le scelte della maggioranza, in un quadro di regole definite. Le regole garantiscono ciascuna parte che la vittoria dell’altra non comporterà la rovina dello sconfitto, per cui alla parte soccombente conviene comunque accettare la sconfitta e continuare il confronto alla ricerca della rivincita.
Quindi la democrazia funziona bene quando si rispettano le regole.
La cultura egemonica negli ultimi anni in Occidente tende a non accettare le regole e quindi tende a svuotare la democrazia della sua essenza, pur ossequiandola formalmente.
La novità portata da Trump è l’epifania di un sentire diffuso: quello per cui “al diavolo le regole. Conta solo vincere o perdere, comunque avvenga”.
In questo modo si supera l’ipocrisia soppiantandola con la più sfacciata menzogna e con l’arroganza.
In questo contesto Trump è un’eccellenza, ma non è certo solo. Il politico demagogo, che imbonisce i suoi, specie quelli culturalmente più inermi, oramai è presente in tutti gli schieramenti ed in tutti i paesi. Anche nel nostro, certo.
Renzi, le cui affermazioni durano quanto l’alito che gli dà suono, Grillo, capace di affermazioni distruttive, dissimulate con la risata carnascialesca, non sono migliori di Salvini che ha coltivato il razzismo, fino a farlo fruttificare, della Meloni fautrice feroce della famiglia tradizionale, per gli altri.
Oramai il politico urlatore, arrogante e piagnone insieme è quasi uno stereotipo. Che nostalgia di quelli noiosi di un tempo.
Ma il problema più grande sono le politiche adottate, che nell’insieme aumentano le diseguaglianze e distruggono la mobilità sociale. E queste politiche, con sfumature diverse le adottano tutti.
Le politiche antipauperiste le adottano anche i politici più professionali, quelli che si mostrano misurati, ma di tanto in tanto cedono al mainstream e diventano fornitori di motovedette alla Libia, precarizzatori del lavoro, chiuditori di ospedali, autonomisti differenziati, fautori delle imposte indirette.
L’unica salvezza è un popolo che si emancipa e diventa adulto, che ritrova la coscienza di classe in un mondo che gli hanno descritto come liquido, che ricomincia a studiare e così a rivendicare.
Non è semplice e non è veloce, anche perché questo popolo, polverizzato dall’individualismo della competizione, pare tenuto così a bella posta: un popolo senza comunità, senza corpi intermedi che possano strutturarlo. Non liquido. Liquefatto.
Francesco Campanella
(pubblicato anche su Huffington post)